giovedì 14 giugno 2007

Il Monastero del Papa (Grazie e Gemma per avere scovato la notizia)


Il monastero del Papa
Nell'Abbazia di Rosano, una tra le mete preferite di Joseph Ratzinger quando, da cardinale, vi si recava per i suoi i ritiri spirituali, le monache benedettine di clausura ricamano paramenti sacri

E' il 19 aprile 2005, sono le ore 18,50. L'annuncio dell'elezione a Papa del cardinale Joseph Ratzinger, che con il nome di Benedetto XVI si prepara a succedere a Giovanni Paolo II, sta facendo il giro del mondo. C'è però un luogo, nel silenzio della campagna toscana, dove la notizia viene accolta con una gioia del tutto particolare. È l'Abbazia delle Suore Benedettine della Santissima Annunziata, un antico convento di clausura nel verde di Rosano, piccolo borgo sull'Arno, a pochi chilometri da Firenze, nella diocesi di Fiesole.

All'ora del vespro, come tutti i giorni, le oltre cinquanta religiose sono riunite in preghiera nella cappella del monastero, proprio mentre in Vaticano sta per volgere al termine la quarta seduta del Conclave. Ad un tratto la Madre Abbadessa irrompe con un sorriso e dà essa stessa l'annuncio alle consorelle: «Habemus Papam». C'è gioia nel convento, che cresce a dismisura quando viene detto il nome del nuovo Pontefice: un nome ben noto alle suore di Rosano, dove il cardinale Ratzinger fin dal 1985 è venuto spesso per brevi periodi di ritiro spirituale e di preghiera, tanto che di quell'Abbazia si parla ormai come del «monastero toscano di papa Ratzinger».

Arrivava in privato, accompagnato sempre dal vescovo Josef Clemens, suo fedelissimo collaboratore. Senza annunci né clamori. Non solo per incontrare le laboriose monache benedettine e confrontarsi con loro sui maggiori temi della fede, ma anche per prendere contatto, almeno una volta l'anno, in occasione del Corpus Domini, con la comunità dei fedeli della zona. «Abbiamo potuto sentire in varie circostanze la sua voce calda e pacata», raccontano le stesse suore nel loro bollettino mensile, Beata pacis visio, «mentre, con profondità spirituale ma anche con un linguaggio piano e a tutti accessibile, ci offriva la ricchezza della sua scienza e la dolcezza della sua sapienza». «La vita monastica», disse un giorno Ratzinger a Rosano, «è un cammino d'amore che cerca di avvicinarsi al Signore».

Tra i tanti ricordi delle sue visite all'Abbazia c'è anche quello del 2001, in occasione del 50° anniversario della propria ordinazione sacerdotale, che il nuovo Papa volle celebrare a Rosano insieme al fratello Georg, ordinato anche lui sacerdote nel lontano 29 giugno 1951. Raccontano ancora le suore: «Ci colpì la sua riconoscenza per i piccoli "segni" che avevamo preparato: la torta decorata, il canto composto per lui, le solenni acclamazioni in latino, i fiori. Tutto fu accolto da lui con grande letizia e semplicità e insieme con la commozione di chi davvero nulla attendeva».

La sartoria dei Papi. La sorpresa fu ancora maggiore quando il futuro Benedetto XVI vide la mitria e la casula ricamate per lui dalle monache benedettine. La prima è il copricapo a soffietto con due cuspidi, insegna di papi, vescovi e abati, che esprime la vocazione verso la santità e la vita dedicata a Cristo. La seconda è l'abito per le funzioni religiose che indica il servizio alla carità del sacerdote. Scrisse Ratzinger alle suore, compiacendosi di quel finissimo lavoro di ricamo: "Vera opera d'arte che testimonia non solo un lavoro immenso, ma un'ispirazione artistica scaturita dalla contemplazione. È soprattutto un'opera di glorificazione di Dio con la bellezza nella quale risplende la sua luce".

Confezionati a Rosano anche i paramenti indossati da Benedetto XVI durante la cerimonia di inizio del suo pontificato, il 24 aprile 2005. «La mitria era quella che gli avevamo ricamato quando era ancora cardinale», racconta la Madre Abbadessa Stefania. «Fu lui stesso a chiederci di cucire sul davanti il logo del catechismo cattolico, mentre sul retro volle l'immagine dell'Ecclesia orans, con varie decorazioni ispirate dai mosaici di Sant'Apollinare in Classe. La casula era invece una di quelle preparate per Giovanni Paolo II, da lui purtroppo mai indossata, ma anch'essa ispirata agli stessi mosaici di Ravenna».

Tanti dunque i paramenti per i pontefici. «Ne abbiamo preparati moltissimi per papa Wojtyla, ma nessuno ne aveva mai parlato come adesso si sta facendo per quelli di Benedetto XVI», dice ancora la Madre Abbadessa, che ricorda come anche Paolo VI si "rifornisse" abitualmente da loro. «Ci vengono commissionati anche da cardinali, vescovi, sacerdoti. Se lasciano a noi la scelta del soggetto, quando si tratta di vescovi cerchiamo di ispirarci a decorazioni o bassorilievi presenti nelle rispettive cattedrali, altrimenti ai mosaici di Aquileia o Cividale del Friuli. Tutto viene fatto rigorosamente a mano, anche con tecniche di ricamo antico quali l'agopittura, l'oro tirato, l'oro serrato».

Quanto tempo occorre per una confezione? «Dipende dal ricamo», risponde la Madre. «Da un minimo di venti giorni in avanti. Per la casula e la mitria di Giovanni Paolo II, indossate per la cerimonia di beatificazione di padre Pio e ispirate alle opere del Beato Angelico, ci vollero ben 430 giorni».

Il laboratorio di ricamo è attivissimo. Vi lavorano 17 monache a ritmo quasi continuo. Dalle loro mani è uscita la prima casula pontificia per Joseph Ratzinger, indossata il 29 giugno in occasione della festa di San Pietro e Paolo. Si tratta di una "mantella" di quasi cinque metri di stoffa, contenente ben 240 conchiglie ricamate in oro sbalzato con sfumature in seta in otto gradazioni. È la conchiglia, infatti, uno dei principali elementi dello stemma di Joseph Ratzinger, che contiene un importante significato teologico. Normalmente è cucita sulle infule, le due piccole code della mitria, dove tutti gli alti prelati espongono il proprio stemma personale. Secondo il Nunzio Apostolico, monsignor Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, che sull'Osservatore Romano ha trattato questa materia, la conchiglia «vuole ricordare la leggenda attribuita a Sant'Agostino, il quale, incontrando un giovinetto sulla spiaggia, che con una conchiglia cercava di mettere tutta l'acqua del mare in una buca di sabbia, gli chiese cosa facesse. Quello gli spiegò il suo vano tentativo, ed Agostino capì il riferimento al suo inutile sforzo di tentare di far entrare l'infinità di Dio nella limitata mente umana».

"Prega e lavora". È dunque l'arte del ricamo, dopo naturalmente la vita di preghiera e di meditazione, una delle principali attività delle suore di Rosano. «Come San Benedetto», ricorda l'Abbadessa Stefania, «viviamo del lavoro delle nostre mani».

Sveglie fino dalle 4 del mattino, mezz'ora dopo inizia la prima parte della loro giornata di preghiera liturgica, che dura almeno fino alle 8. Da allora si alternano mediamente tre ore di lavoro con altrettante di preghiera, scandite da sette rintocchi di campana durante il giorno. Oltre ai paramenti sacri le suore si dedicano ai ricami per corredi nuziali («sempre di meno...»), tovaglie, restauro di arazzi, libri antichi, decorazioni di ceramiche.

Lavorano anche i campi, ricavandone prodotti genuini quali ricercatissime marmellate, vino e olio. Tanta gente viene al convento per acquistarli. Basta suonare alla "ruota girevole" e la voce della madre portinaia è pronta, dall'altra parte della parete e in qualunque momento del giorno, a soddisfare le richieste. Frequenti anche le visite e i colloqui nel parlatorio, tra cui quelli, assidui e cordiali, con i militari della vicina Stazione dei Carabinieri di Rignano sull'Arno, attualmente comandata dal maresciallo Martino Ceraolo.

Non tutte le suore di clausura sono all'interno dell'Abbazia. Alcune di esse vivono nel più piccolo convento svizzero di Claro, nei pressi di Bellinzona, mentre un'altra rappresentanza (otto suore in tutto) è da tempo in Vaticano. «Una presenza monastica», sottolinea la Madre Abbadessa, «voluta circa 11 anni fa da Giovanni Paolo II per colmare un vuoto di vita contemplativa. Le nostre sorelle vivono in quattro stanze dei Palazzi Apostolici e dividono la loro giornata tra la preghiera e una piccola attività di supporto alla gestione quotidiana degli appartamenti del Papa».

1200 anni di storia. Fondata originariamente nel 780, l'Abbazia Santa Maria di Rosano venne ampliata nel XII secolo con la costruzione dell'attuale campanile di pietra che domina il cortile di accesso alla splendida chiesa romanica. Ospitava donne religiose e pie che avevano scelto la regola di San Benedetto, a quel tempo molto diffusa grazie anche all'opera di Carlo Magno. Verso la fine del 1100 si ha notizia di un Hospitale, una sorta di foresteria per i pellegrini sulla strada di Roma. È della fine del Trecento una pregevole Annunciazione attribuita a Jacopo da Cione. Imponenti lavori di restauro e ampliamento del complesso monastico furono compiuti nel Cinquecento e poi ancora nel Settecento, con le influenze barocche del periodo. Negli anni recenti si ricordano i gravi danni subìti durante la tragica alluvione dell'Arno, nel novembre 1966, superati però nel giro di pochi anni, grazie al lavoro delle monache ed al contributo di tutta la comunità dei fedeli della zona.

In attesa del ritorno del Papa. È una collettività sempre più numerosa, quella che partecipa alle funzioni religiose della domenica nella chiesa dell'Abbazia. C'erano oltre trecento persone il 29 maggio scorso nella ricorrenza del Corpus Domini, pur sapendo che Joseph Ratzinger non avrebbe potuto, questa volta, essere lì come in passato. Ma la sua presenza e la sua spiritualità sono state ben rappresentate dal suo delegato personale, monsignor Clemens, nel corso della messa in latino e della processione nei cortili del convento, aperto una volta l'anno ai fedeli. «Il Papa tornerà a Rosano», ha detto Clemens, non specificando naturalmente quando. In molti scommettono che lo farà prima di quanto si possa pensare, arrivando magari in tutta riservatezza e senza clamore, pur di mantenere vivo il legame con quella straordinaria comunità religiosa. Che prega e lavora in silenzio, ma ogni tanto - c'è da pensarlo - alza lo sguardo verso la strada per vedere se, dalla curva lungo l'Arno, spunta una macchina scura con una figura vestita di bianco al suo interno.

Sandro Addario

(articolo scovato da Gemma)

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