venerdì 15 giugno 2007

Come si diventa "ambasciatore" del Papa?


Nella fabbrica dei nunzi

Professori-sergenti e assistenza ai poveri, così nascono gli ambasciatori del Papa

RAFFAELLO MASCI

ROMA

Il cibo è messicano, lievemente piccante, ma i complimenti sono per il pane fatto da un ragazzo bulgaro: un po’ ruvido, ma buonissimo. E’ la cena informale e autoprodotta che una trentina di studenti provenienti da 20 Paesi, fanno più o meno una volta al mese. Tutti parlano un buon italiano con vari accenti, ma virano frequentemente sull’inglese o sullo spagnolo. Sono ragazzi molto semplici, eppure basta una battuta, un riferimento lasciato cadere lì, e si capisce che sono coltissimi, preparatissimi, informati sulle cose del mondo.
Sono gli studenti dell’Accademia ecclesiastica pontificia - la «fabbrica dei nunzi», gli ambasciatori del papa - e la location è la terrazza della loro casa, collocata in un palazzo secentesco alle spalle del Pantheon, strategicamente piazzato tra il Vaticano, i palazzi romani del potere, le università pontificie e le mondanità del roof garden della Minerva.
Per capire quanto l’Accademia sia una scuola elitaria basta osservare i numeri: dal 1706 - anno di fondazione - a oggi gli allievi sono stati appena 1800, di questi cinque sono diventati papi, alcune centinaia cardinali, pressoché tutti gli altri vescovi o arcivescovi.

Il training

Ogni anno le candidature sono una trentina, le new entries dieci-dodici. Nessuno può autocandidarsi, ma devono essere i Vescovi a segnalare i nomi. I requisiti richiesti sono la giovane età (tra i 25 e i 33 anni), il fatto di essere già preti, di avere almeno una laurea religiosa e possibilmente una civile.
Dopo di che, per chi entra, comincia il training. Sveglia all’alba, preghiera, concelebrazione in una cappella che sembra un grande presbiterio (solo per celebranti, senza assemblea). Quindi ci si disperde nelle varie università pontificie per imparare a districarsi tra cavilli e sottigliezze del diritto canonico.
Al pomeriggio, dopo una pausa per guardare i giornali di mezzo mondo e conversare un attimo davanti a un caffè italiano, inizia la «preparazione peculiare»: diplomazia pontifica, stile diplomatico (cioè come scrivere i vari documenti), identità e antropologia del nunzio, economia, relazioni internazionali. E poi i seminari: una ventina l’anno, molto settoriali e continuamente aggiornati secondo le criticità del momento. Chiesa cattolica e islam, dialogo interreligioso, nazione e nazionalismo da un punto di vista cristiano, sette e new age, ecologia.

Professori-sergenti

Fior di professori muniti di esperienza sul campo e di porpora prelatizia sfilano ogni pomeriggio per quelle stanze. Ogni lezione evolve in dispensa e rimanda ad una bibliografia. Gli allievi si perdono, quindi, nella grande biblioteca: 15 mila volumi più le riviste, c’è la raccolta de «Le Monde diplomatique» e quella di «Limes», più decine di altre riviste internazionali. Su tutta questa preparazione, si innesta lo studio delle lingue, con professori-sergenti che devono inquadrare gli allievi affinché non solo parlino senza incertezze le lingue veicolari della politica internazionale, ma sappiano anche passare rapidamente dall’una all’altra. D’estate fanno gli stages di formazione: tre settimane in una nunziatura in giro per il mondo, dove imparano i protocolli di comportamento con ministri e monarchi, ma anche a conoscere i poveri e i diseredati, gli opulenti secolarizzati, le società atee e quelle fanatiche. Per la metà di loro tra due settimane ci saranno gli esami conclusivi in Segreteria di Stato e poi, via, in una sede estera.
«Ecco - dice il Vangelo di Matteo (10,16) - io vi mando come pecore in mezzo ai lupi, siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe». I lupi sono la Cina che fa muro contro il cristianesimo, Timor Est che fa strage di cattolici, il Sudan della fame e delle persecuzioni, l’Indonesia dell’intolleranza, il Medioriente delle guerre, l’Africa della siccità e della fame. Ma anche le stanze ovattate di Washington dove si guarda con diffidenza al pacifismo della Santa Sede, la Francia laicista, la Spagna zapatera, l’Italia secolarizzata.
«Nessuno di loro - spiega l’arcivescovo Justo Mullor, presidente dell’Accademia - deve però dimenticare che è prima di tutto un sacerdote» e quindi nessuno deve guardare all’attività diplomatica come ad una variante elitaria di quella che una volta si chiamava «carriera ecclesiastica». «Non è carriera - spiega Mullor - è servizio petrino, e noi non siamo ambasciatori di un interesse politico ma di un messaggio trascendente». Gli studenti sanno - e lo ammettono con timidezza - che sono visti da alcuni cattolici come degli yuppies della Chiesa, ma i preti semplici e puri, i missionari dei poveri, i sanfracesco degli ultimi, verrebbero triturati dal mondo e dai suoi padroni se non ci fosse questa guardia scelta a fare barriera e a spianare loro la strada. Tuttavia, per fugare ogni tentazione mondana, questi giovanotti la domenica lasciano i loro studi e vanno ad aiutare nelle parrocchie, a occuparsi delle comunità straniere, degli homeless e dei carcerati, a curare i malati e a dare conforto agli anziani. Poi ci sono la preghiera, il digiuno, la penitenza, il silenzio. E, in futuro, il mondo.

La Stampa, 8 giugno 2007

Vedi anche:

Il Papa ai futuri nunzi: siate dei pastori imitatori di Cristo prima che dei diplomatici

Nessun commento: