venerdì 15 giugno 2007

Papa Benedetto e la musica


RATZINGER, BACH E BOB DYLAN

Sandro Cappelletto

Occorreva un avvenimento raro come l’ottantesimo compleanno del Pontefice perché Rai Uno trasmettesse, con ogni cura di immagine e di qualità di suono, un concerto in diretta alle sette di sera, per oltre un’ora e senza interruzioni pubblicitarie!
Un sorprendente concerto. Non solo per i dati di cronaca: l’Orchestra della Radio di Stoccarda era infatti diretta da Gustavo Dudamel, ventisei anni, venezuelano, il cui principale impegno è lavorare con l’Orchestra Giovanile Simon Bolivar, formata da ragazzini del suo Paese strappati alla miseria e al degrado e che trovano nella musica un’arma potente e mite di riscatto. Ma sorprendente per le musiche scelte: nella Sala Nervi del Vaticano gli invitati hanno ascoltato il terzo Concerto per violino di Mozart, la Sinfonia «dal Nuovo Mondo» di Antonín Dvorák e la Sonata XIII di Giovanni Gabrieli, breve capolavoro di sontuosità barocca e unico brano dei tre che abbia un’origine liturgica.
«La musica - ha detto poi Benedetto XVI, ringraziando i propri genitori per avergliela fatta "studiare" - è stata una compagna di viaggio che sempre mi ha offerto conforto e gioia. La musica è veramente il linguaggio universale della bellezza, porta gli uomini ad alzare lo sguardo verso l’alto e ad aprirsi al bene e al bello assoluti, che hanno la loro sorgente in Dio stesso».
La bellezza della musica possiede dunque una sua sacralità. Tutta la musica, o soltanto quella che comunemente definiamo sacra? Al riguardo, le opinioni sono assai varie. Secondo Pierre Boulez, «sacra è tutta la musica che racconta la verità e la vastità di ogni esperienza umana». Per John Eliot Gardiner, direttore artistico di «Anima Mundi», festival di musica sacra che si svolge nel Duomo di Pisa, «è la qualità dell’esecuzione e il contesto in cui avviene che rendono sacra una musica». Se è così, il concerto del 16 aprile 2007 - che rimarrà nella storia dei concerti vaticani - è stato «sacro», anche se la Sala Nervi non è un luogo di culto, anche se le prescelte musiche di Mozart e Dvorák sono nate in contesti del tutto laici.
All’interno dell’organizzazione cattolica, però, le linee di pensiero e le pratiche sono diverse. Come racconta don Luigi Garbini nella sua recente Breve storia della musica sacra, è un atteggiamento di chiusura e di esclusione a prevalere, nella preoccupazione di difendere sia una riconoscibile specificità liturgica della musica, sia una sua immediata capacità di comunicazione e coinvolgimento. Un duplice obiettivo che ha trovato voce, spesso deludente, in tante semplici Messe contemporanee composte da religiosi o da zelanti chierici quanto nelle canzoni intonate da qualche decennio nelle chiese durante le funzioni.
Per quanto riguarda il contatto con il mondo del pop, cercato e ottenuto da Giovanni Paolo II, lo stop di papa Ratzinger è stato immediato. Non ama questa musica, non appartiene alla sua formazione, non la considera in grado di avviare un ascolto, un dialogo «sacri». Lui, sente più vicino al «bene e al bello assoluti» Bach piuttosto che Bob Dylan e non ha remore nel dirlo. Dylan sarà senz’altro d’accordo, le gerarchie vaticane chissà.

La Stampa, 18 aprile 2007


Dal libro "Il mio amato predecessore" di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Edizioni San Paolo:

Il Papa: Wojtyla meglio di Dylan

A due anni dalla morte di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ricorda il suo «amato predecessore» In esclusiva stralci del libro che ricostruisce oltre vent'anni di amicizia, collaborazione e aneddoti
Papa Benedetto XVI accanto a un quadro del suo «amato predecessore», Giovanni Paolo II.

Per gentile concessione dell'editore San Paolo, pubblichiamo alcuni stralci di «Giovanni Paolo II. Il mio amato predecessore» di Joseph Ratzinger-Papa Benedetto XVI (124 pag. 12,50 euro). Papa Wojtyla Con voi voglio tornare con la memoria all'indimenticabile giorno della sua elezione alla Sede di Pietro. Sento ancora l'eco delle sue parole, umili, sagge e piene di dedizione, quando rispose alla domanda se accettava la scelta fatta dai cardinali (...). Ho davanti agli occhi la sua figura, forte e serena, sulla loggia della basilica di San Pietro, quando per la prima volta diede la benedizione Urbi et Orbi, affidandosi alla protezione della Madonna e all'amore di coloro dei quali in tutto il mondo doveva prendersi cura come pastore e guida. Non ho mai dimenticato il suo profetico richiamo: «Non abbiate paura! Aprite le porte a Cristo!». Ringrazio Dio, che con queste immagini nel cuore ho potuto trascorrere più di due decenni al suo fianco, godendo della sua benevolenza e amicizia, e che oggi posso continuare la sua opera sotto il suo sguardo protettore dalla casa del Padre.

Wojtyla e Dylan

Il Papa appariva stanco, affaticato. Proprio in quel momento arrivarono le star dei giovani, Bob Dylan e altri di cui non ricordo il nome. Avevano un messaggio completamente diverso da quello per cui il Papa si impegna. C'era ragione di essere scettici - io lo ero e, in un certo senso lo sono ancora, - di dubitare se davvero fosse giusto far intervenire questo genere di «profeti». Ma come improvvisamente apparve invecchiato e povero il loro messaggio, quando il Papa mise da parte il foglio manoscritto che gli stava davanti e cominciò a parlare ai giovani con il cuore, a dire loro cose che, almeno a prima vista, non si ha il coraggio di dire: a parlare del significato dell'insuccesso, della rinuncia, dell'accettazione della sofferenza, della croce. In quella circostanza non furono impiegate delle formule religiose logore e svuotate. La frattura Non posso dimenticare come (Giovanni Paolo II, ndr) ci parlò in occasione della grande Messa del sinodo africano di cui si era tanto rallegrato, mentre si trovava in ospedale dopo che era caduto in bagno e si era rotta l'anca. In precedenza aveva fatto visita alla «Madonna delle lacrime» a Siracusa e cominciò a parlarci proprio a partire da quell'incontro. Nessuna predica che avrebbe potuto rivolgerci in condizioni di buona salute, avrebbe potuto toccarci in maniera simile. Il sofferente La sua malattia affrontata con coraggio ha reso tutti più attenti al dolore umano, a ogni dolore fisico e spirituale; ha dato alla sofferenza dignità e valore, testimoniando che l'uomo non vale per la sua efficienza, per il suo apparire, ma non per se stesso, perché creato e amato da Dio. Con le parole e i gesti il caro Giovanni Paolo II non si è stancato di indicare al mondo che se l'uomo si lascia abbracciare da Cristo, non mortifica la ricchezza della sua umanità; se a lui aderisce con tutto il cuore, non gli viene a mancare qualcosa. Al contrario, l'incontro con Cristo rende la nostra vita più appassionante. Proprio perché si è avvicinato sempre più a Dio nella preghiera, nella contemplazione, nell'amore per la Verità e la Bellezza, il nostro amato Papa ha potuto farsi compagno di viaggio di ognuno di noi e parlare con autorevolezza anche a quanti sono lontani dalla fede cristiana. L'addio Tutti ricordiamo le immagini della sua ultima Via Crucis, il venerdì santo: non potendo recarsi al Colosseo, la seguì dalla sua cappella privata, tenendo tra le mani una croce. Nel giorno di Pasqua, poi, impartì la benedizione Urbi ed orbi senza poter pronunciare parole, con il solo gesto della mano. Non dimenticheremo mai quella benedizione. È stata la benedizione più sofferta e commovente, che ci ha lasciato come estrema testimonianza della sua volontà di compiere il ministero fino alla fine. Giovanni Paolo II è morto così come aveva sempre vissuto, animato dall'indomito coraggio della fede, abbandonandosi in Dio e affidandosi a Maria Santissima. Quale eredità La sua eredità è immensa, ma il messaggio del suo lunghissimo pontificato si può ben riassumere nelle parole con le quali egli lo volle inaugurare, qui in piazza San Pietro, il 22 ottobre 1978: «Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!». Questo indimenticabile appello, che io sento ancora risuonare in me come se fosse ieri, Giovanni Paolo II l'ha incarnato con tutta la sua persona e tutta la sua missione di successore di Pietro, specialmente con il suo straordinario programma di viaggi apostolici. Visitando i paesi del mondo intero, incontrando le folle, le comunità ecclesiali, i governanti, i capi religiosi e le diverse realtà sociali, egli ha compito come un unico grande gesto a conferma di quelle parole iniziali. Ha annunciato sempre Cristo, proponendolo a tutti, come aveva fatto il concilio Vaticano II, quale risposta alle attese dell'uomo, attese di libertà, di giustizia, di pace. Cristo è il Redentore dell'uomo - amava ripetere -, l'unico autentico Salvatore di ogni persona e dell'intero genere umano. Negli ultimi anni, il Signore lo ha gradualmente spogliato di tutto, per assimilarlo pienamente a sé. E quando ormai non poteva più viaggiare, e poi nemmeno camminare, e infine neppure parlare, il suo gesto, il suo annuncio si è ridotto all'essenziale: al dono di se stesso fino all'ultimo. La sua morte è stata il compimento di una coerente testimonianza di fede, che ha toccato il cuore di tanti uomini di buona volontà. Giovanni Paolo II ci ha lasciati nel giorno di sabato dedicato particolarmente a Maria, verso la quale ha sempre nutrito una devozione filiale. Alla celeste Madre di Dio domandiamo ora di aiutarci a far tesoro di quanto ci ha donato e insegnato questo grande Pontefice. Vicino a Cristo Egli ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina misericordia. Scrive nel suo ultimo libro: Il limite imposto al male «è in definita la divina misericordia» (Memoria e identità). E riflettendo sull'attentato dice: «Cristo, soffrendo per tutti noi, ha conferito un nuovo senso alla sofferenza; l'ha introdotta in una nuova dimensione, in un nuovo ordine: quello dell'amore... E' la sofferenza che brucia e consuma il male con la fiamma dell'amore e trae anche dal peccato una multiforme fioritura di bene» (pag. 199). Animato da questa visione, il Papa ha sofferto e amato in comunione con Cristo e perciò il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e fecondo.

La provincia di Como, 17 aprile 2007

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