giovedì 14 giugno 2007

LA VITA DI JOSEPH RATZINGER, parte seconda (a cura di Gemma)












Grazie alla nostra Gemma (di nome e di fatto) possiamo leggere la seconda parte della biografia di Papa Benedetto.
Ancora un ringraziamento speciale a Gemma per il lavoro straordinario che sta svolgendo :-)


Nella foto la famiglia Ratzinger nel giorno dell'ordinazione di Joseph e del fratello Georg.


Alla fine del 1945, comincia la frequentazione nel seminario di Frisinga in un gruppo di circa 120 seminaristi. Un gruppo piuttosto eterogeneo, per esperienze e per età ma, dice nella sua autobiografia, “nessuno dubitava che la Chiesa fosse il luogo delle nostre speranze”.
Gli interessi didattici sono molteplici e spaziano dalla teologia in senso stretto, alla filosofia, alla lettura dei romanzieri, tra cui Dostoevskji, Claudel, Bernanos, Mauriac, Gertud Von Le Fort… In campo teologico è forte il fascino per Romano Guardini, Theodor Hacker, J. Pieper, P. Wust.
In quel periodo nasce una profonda amicizia con il teologo Alfred Läpple, oggi 92 anni, allora prefetto della sala di studio, appena rientrato dalla prigionia inglese. Lo stesso Läpple in un’intervista rilasciata alla rivista “30 giorni” (gennaio 2006) ricorda così il loro primo incontro: “durante una pausa di tempo libero, mi si avvicinò questo giovane, che non avevo ancora conosciuto. Mi disse: "sono Joseph Ratzinger, e ho per lei alcune domande". Da quelle domande nacque il nostro primo lavoro insieme. E fu l’inizio di tante chiacchierate, di tante passeggiate, di tante discussioni appassionate e di tanti lavori fatti insieme. È partita lì la grande amicizia di una vita. Non ci siamo mai persi di vista. E se c’era qualcosa da dirsi, ci si telefonava e ci si scriveva molto”. La domanda allora posta era: “come hai potuto conservare la fede durante tutto il tempo della guerra?”

La metà del seminario in quel periodo è ancora adibita a lazzaretto, e vi sono ospitati i feriti degli eserciti alleati.. I seminaristi dormono in grandi camerate a gruppi di quaranta in cui ciascuno ha il suo letto circondato da una specie di tenda bianca, a mo’ di separé. La mattina la sveglia è alle 5,30, poi c’è la messa, la colazione, le lezioni. I corsi di materie attinenti alla pastorale si tengono in seminario. Quelli più scientifici si tengono nella Scuola superiore di filosofia e teologia, istituto statale ospitato nell’edificio accanto al seminario. Dopo il pranzo nel tempo libero, si passeggia, poi ci si dedica allo studio. La sera, dopo cena, spazio alla meditazione o magari ad una conferenza da ascoltare. Non c’è riscaldamento, e si va a letto presto.
Sempre dal ricordo del prof Läpple, i fratelli Ratzinger a lezione siedono spesso in prima fila e i colleghi per distinguerli li chiamano Orgel-Ratz e Bücher-Ratz (il Ratzinger dell’organo e quello dei libri). Dice Läpple:” Joseph era come uno straccio secco che si inzuppa di acqua quasi con avidità. Quando nello studio trovava una cosa nuova, si riempiva di entusiasmo, non vedeva l’ora di poterla comunicare agli altri. Io e lui passavamo ore e ore a discutere passeggiando”.
In seminario, malgrado le differenze di età e di formazione culturale, regna un clima familiare, grazie anche ai modi benevoli e cordiali del rettore, Michael Höck,, chiamato semplicemente “il padre”. Si coltiva molto anche la musica e, in occasione di feste, si recitano pezzi teatrali.
Ratzinger si appassiona al cardinale-teologo inglese Newman, al pensatore ebreo Buber, ad Agostino del quale, dice, “ nelle Confessioni mi venne incontro in tutta la sua passionalità e profondità umane”; ha invece difficoltà nell’accesso al pensiero di Tommaso d’Aquino (“la cui logica cristallina mi appariva troppo chiusa in se stessa, troppo impersonale e preconfezionata”). Anche in quel periodo, un posto importante occupano le grandi feste liturgiche in cattedrale e la preghiera silenziosa nella cappella del seminario. Significativo è il ricordo della figura del cardinale Faulhaber (“non cercavamo in lui un vescovo accessibile: mi colpiva piuttosto la veneranda grandezza della sua missione, con cui egli si era del tutto identificato”).
Il primo scritto di Joseph Ratzinger risale al 46, quando ha da poco iniziato il seminario. Di quell’opera prima esistono solo due copie dattiloscritte, rilegate in marocchino rosso. Le scritte in caratteri giallo oro sulla copertina chiariscono che si tratta di una traduzione, la versione in tedesco della Quaestio disputata di san Tommaso sulla carità. Una delle due copie è in possesso dell’autore. L’altra la conserva Alfred Läpple che racconta: «la traducemmo insieme, riga dopo riga. Era il 1946. Ricordo che cercavamo le versioni originali di tutte le citazioni: Platone, Aristotele, Agostino... Poi, molti anni dopo, il manoscritto originale si stava deteriorando, e allora la mia segretaria ribatté il testo a macchina e ne feci rilegare due copie. Una la regalai a Joseph il 14 marzo ’79, quando, in occasione della festa di san Tommaso, venne a Salisburgo, nell’aula magna dell’Università dove insegnavo, a tenere una lezione magistrale su “Le conseguenze della fede nella creazione”».

Con il semestre estivo del 1947 si conclude il biennio di studi filosofici e chiede al vescovo, con successo, di proseguire gli studi a Monaco. La facoltà teologica si trova provvisoriamente nell’ex residenza di caccia di Fürstenried, a sud di Monaco. Lo spazio è molto ridotto e si dorme in letti a castello e anche il vitto è scarso ma gli studenti hanno a disposizione il bel parco del castello (“molto spesso me ne andavo a passeggiare per quel parco, immerso in molti pensieri; là sono maturate le decisioni di quegli anni e là ho riflettuto su quel che ci veniva detto cercando di trarne una mia visione delle cose”). Non c’è la spontanea cordialità di Frisinga , il gruppo è eterogeneo e comprende studenti da tutta la Germania, alcuni dei quali avanti negli studi e dominano l’interesse intellettuale e l’individualismo. Dato che non c’è una vera e propria aula, i corsi si svolgono nella serra del giardino del castello, ambiente freddo d’inverno e molto caldo d’estate.
I professori più importanti sono: Gottlieb Söhngen , Michael Schmaus , Friedrich Wilhelm Maier, Josef Pascher … La star della facoltà nel racconto di Ratzinger è Maier, professore di esegesi del nuovo testamento (“le sue lezioni erano le uniche in cui la serra diventava troppo piccola; per avere un posto bisognava arrivare molto presto”). Ratzinger segue con grande interesse le lezioni del prof Maier, facendole oggetto di rielaborazione personale (“per me l’esegesi è sempre rimasta il centro del mio lavoro teologico” …) Nel ricordo di Läpple , Söhngen è il “maestro” di Ratzinger, insegna teologia fondamentale e in lui Ratzinger “ vide anche il gusto di riscoprire la Tradizione intesa come teologia dei Padri e il gusto di fare teologia riandando alle grandi fonti: da Platone a Newman, passando per Tommaso, Bonaventura, Luther. E ovviamente sant’Agostino…”
Sempre secondo il racconto di Läpple, Söhngen non ha il costume di plasmare i propri allievi e Ratzinger è piuttosto libero nei confronti del maestro che, commentando le sue interpretazioni su sant’Agostino diceva: “adesso il mio studente ne sa più di me che sono il maestro! Söhngen teneva in grande considerazione quello che riteneva il suo migliore allievo. Una volta disse di sentirsi come sant’Alberto Magno, quando nel Medioevo diceva che il suo allievo avrebbe gridato più forte di lui. E l’allievo era san Tommaso! Era contento che qualcuno sapesse sviluppare in maniera originale e non pre-stabilita i suoi suggerimenti.”
Pascher , teologo della pastorale e direttore del Georgianum, ha un ruolo molto importante nel consolidamento dell’interesse del giovane Ratzinger per il movimento liturgico (“come avevo imparato a comprendere il Nuovo Testamento quale anima di tutta la teologia, così capii che la liturgia ne era il fondamento vitale, senza di cui essa finisce per inaridirsi”).
Negli ambienti cattolici della Germania di allora, c’è in generale consenso nei confronti del papato e di Pio XII ma il clima dominante in facoltà, secondo lo stesso racconto di Ratzinger, è un po’ più tiepido. A questo contribuiscono una teologia locale ampiamente segnata dal pensiero storico, le esperienze vissute dal prof Maier e “forse anche un certo orgoglio tedesco, per cui ritenevamo di saperne di più di “quelli laggiù”.” Ma questo tipo di riserve e sentimenti non compromette l’assenso al ministero petrino, nemmeno in occasione della definizione dogmatica dell’assunzione corporea di Maria in cielo, nonostante il commento di alcuni docenti sia inizialmente decisamente negativo. Ratzinger ricorda: “in quegli anni a Monaco si fa teologia in maniera critica ma credente…il dogma non era sentito come vincolo esteriore, ma come la sorgente vitale, che rendeva possibili nuove conoscenze. La Chiesa per noi era viva soprattutto nella liturgia e nella grande ricchezza della tradizione teologica”. E in riferimento alla scelta di vita di quegli anni dice: “ Non abbiamo preso alla leggera l’esigenza del celibato , ma eravamo comunque convinti di poterci fidare dell’esperienza secolare della Chiesa e che quella rinuncia che essa ci chiedeva , e che penetrava fin nel profondo di noi,sarebbe divenuta feconda.”

Nell’estate del 1949 un’aula del Georgianum nella Ludwigstrabe di Monaco viene resa abitabile e gli studenti possono tornare in città. L’accesso alle stanze non è molto agevole, vi si accede da uno spazio aperto e attraverso una scala a pioli. Ora è possibile frequentare anche lezioni di altre facoltà ma c’è anche un lato negativo dal momento che a Fürstenried docenti, discenti, tanto i seminaristi che gli studenti e le studentesse della città, erano vissuti insieme come una grande famiglia. Ora, come ricorda lo stesso Ratzinger, “mancano questa immediatezza e questa vicinanza e gli anni di Fürstenried restano nella mia memoria come un tempo di grandi novità, pieno di speranza e di fiduciosa attesa, ma anche come un tempo di grandi e sofferte decisioni”, e conclude, “ quando mi capita di entrare in quel parco, rimasto ancora oggi intatto, le vie esteriori che lo attraversano si uniscono tanto strettamente a quelle interiori, che qui ho cominciato a percorrere, che quel che ho vissuto in quel luogo ritorna vivo e presente dinnanzi a me in tutta la sua freschezza”.
Già allora, nel ricordo di chi lo ha conosciuto, colpiscono la personalità umile e sensibile. Una compagna di corso dei tempi dell’università, Hilda Brauer, racconta: "Era straordinariamente sensibile, tutte noi eravamo affascinate da questo suo modo di fare, così distante dall'atteggiamento di tutti gli altri compagni . Lui era molto timido, e quando ci incontravamo nei corridoi salutava con un breve cenno del capo e con una voce molto flebile. Era questa sua timidezza che incuriosiva le ragazze e che lo metteva sotto una luce diversa dagli altri. Nel nostro corso era il più brillante; nessuno era al pari suo, tutta la sua timidezza era soppiantata da una mente agile e straordinariamente attiva. Devo dire che oltre a questo sapeva essere anche molto gentile; ricordo benissimo che un giorno, noi ragazze, ci fermammo a discutere su alcuni temi teologici nel parco, e lui arrivò portando con sè alcuni mazzolini di fiori che aveva preparato per ognuna di noi, un gesto che ci svelò quanta sensibilità si celasse dietro una maschera apparentemente fredda. Fortunatamente eravamo soltanto in tre, quel giorno, altrimenti avrebbe raccolto tutti i fiori del parco! " (l’Adige, aprile 2005).
Riguardo al periodo precedente l’ordinazione, quando presentò la sua autobiografia qualcuno gli fece notare che non aveva mai parlato di “cotte” o flirt. Al giornalista curioso rispose, scherzando, tirando fuori quel senso dell’ironia che gli amici gli riconoscono: “L’editore mi aveva chiesto di non superare le 100 cartelle! Poi però è tornato sull’argomento: “A Monaco si viveva a stretto contatto coi professori, ma anche con le studentesse, così che la questione della rinuncia si poneva in termini assai pratici proprio in forza di questa convivenza quotidiana. Mi sono spesso confrontato con queste domande finchè nell’autunno del 50, potei pronunciare un “si” convinto in occasione della mia ordinazione diaconale”

Dopo l’esame conclusivo degli studi teologici nell’estate del 1950 gli viene proposto da Sohngen un lavoro, che se premiato, potrà aprirgli la strada al dottorato, sul tema: “Popolo e casa di Dio nell’insegnamento di sant’Agostino nella Chiesa”. In questo contesto, produttiva è per lui la lettura dell’opera, regalatagli l’anno prima da Läpple, “Cattolicismo” di Henri de Lubac nella traduzione di Hans Urs von Balthasar (“questo libro è divenuto per me una lettura di riferimento”). Si mette in cerca di altre opere di De Lubac e trae profondo giovamento dalla lettura di Corpus Mysticum e, ricorda, ”potei addentrarmi, come mi veniva richiesto nel dialogo con Agostino, che in molti modi avevo già da lungo tempo tentato”.
Ratzinger dedica al lavoro tutte le ferie estive ma alla fine di ottobre riceve l’ordinazione diaconale, preludio all’ordinazione sacerdotale. Torna nel seminario di Frisinga per l’avviamento alla predicazione e alla catechesi, impegni che con fatica riesce a conciliare al lavoro teologico in corso. Lo aiutano la tolleranza del seminario, il fratello Georg, che sta svolgendo lo stesso percorso spirituale e pratico di preparazione al sacerdozio, e la sorella Maria , nel frattempo impiegata in uno studio legale, che redige nel tempo libero la copia scritta del lavoro che può essere consegnato con successo entro il termine previsto.
Nel ricordo di Läpple, “Ratzinger trovò molto di più di quello che il suo maestro gli aveva suggerito di cercare. Documentò con una quantità incredibile di citazioni cosa intendeva sant’Agostino quando definiva la Chiesa come popolo di Dio. La stessa espressione che sarebbe stata riproposta solo parecchio tempo dopo dal Concilio Vaticano II e da Paolo VI. Ma Ratzinger non contrapponeva le due definizioni di Chiesa, anzi le conciliava”.

Finalmente, Il 29 giugno 1951, nella festa dei santi Pietro e Paolo, nel duomo di Frisinga, per mano del cardinale Faulhaber, Joseph Ratzinger riceve insieme al fratello Georg l’ordinazione sacerdotale. Sono più di quaranta candidati quel giorno a rispondere, quando chiamati, adsum , “sono qui”. Di quel giorno lo stesso Ratzinger ricorda: “era una splendida giornata d’estate , che resta indimenticabile, come il momento più importante della mia vita “ e, segno beneaugurate, nel momento in cui l’anziano arcivescovo impone le sue mani su di lui, un’uccellino, forse un’allodola, si leva dall’altare maggiore della cattedrale e intona un piccolo canto gioioso (“per me fu come se una voce dall’alto mi dicesse: va bene così, sei sulla strada giusta”).
Durante la cerimonia, anche Läpple, dopo il cardinal Faulhaber, come tutti gli altri sacerdoti presenti, si mette in fila per porgli le mani sul capo e, come ama ricordare, ” lui in quel momento ha alzato la testa e mi ha detto: grazie. Dopo la messa, lui, i suoi genitori e sua sorella Maria sono saliti nella mia stanza, e io ho detto: caro Joseph, adesso dammi tu la tua benedizione. Mi ha abbracciato con una gioia indescrivibile. Lui non sa essere finto. E la cosa che gli fa più male è quando qualcuno non è sincero, quando uno fa il teatrino. Questo gli fa male. Per questo gli dispiace quando si riduce anche la liturgia a teatro. Perché – dice lui – non è così che si tratta Gesù Cristo”.

Clicca qui per leggere la prima parte della biografia di Papa Benedetto, curata da Gemma.

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